25 aprile, 2009

Rodolfo Aricò

A A R T E S T U D I O I N V E R N I Z Z I







RODOLFO ARICÒ

UN EROTICO GERMINANTE
L'OPERA DI RODOLFO ARICÒ NEGLI ANNI OTTANTA


Catalogo con saggio di Francesca Pola


Inaugurazione
Martedì 19 maggio 2009 ore 18.30

19 maggio - 10 luglio 2009


A ARTE STUDIO INVERNIZZI
Via D. Scarlatti 12
20124 Milano Italy
Tel. Fax 02 29402855
info@aarteinvernizzi.it
press@aarteinvernizzi.it
www.aarteinvernizzi.it

da lunedì a venerdì 10-13 15-19

La galleria A arte Studio Invernizzi inaugurerà martedì 19 maggio 2009 alle ore 18.30 una mostra personale dell'artista Rodolfo Aricò.
La mostra sarà incentrata su un nucleo di opere degli anni Ottanta "che costituiscono un territorio particolarmente significativo della complessa parabola creativa di Rodolfo Aricò. Si tratta di un momento che segue un lungo periodo di elaborazione fortemente introspettiva, che ritrova una nuova occasione di pubblico riconoscimento in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1982 e da quell'evento volge alla creazione di una stagione completamente nuova del suo dipingere. Se gli anni Settanta erano stati il luogo dell'investigazione tattile dell'archetipo strutturale e architettonico, come possibilità di sensibilizzazione del limite, della soglia tra vivere e dipingere, negli anni Ottanta si compie in modo assoluto e totale quella metamorfosi della vita in pittura e della pittura in vita, senza più alcuna soluzione di continuità, che pare essere stato l'obiettivo dell'opera di Aricò sin dai propri esordi.
Esaurite le potenzialità umanistiche degli archetipi, Aricò si muove all'inizio del nuovo decennio nella direzione di un primordio antropico che ad essi è ancora anteriore, ritrovando una dimensione lirica per così dire universale, che potremmo definire autenticamente introspettiva, se intendiamo il termine nel senso di investigazione primariamente fisica del proprio esistere come frammento dell'universo. Si tratta di una indagine dolorosa e inevitabile, sentita come tale dallo stesso artista, che culminerà in tutta la propria totalizzante drammaticità nelle successive pitture lacerate e frante degli anni Novanta. Un senso doloroso dell'umano incomincia ad emergere dai frammenti degli archetipi, per disvelarci quella che l'artista stesso definisce 'una provvisoria eternità'. Una dimensione spaziotemporale che altro non è che l'eterno divenire del tutto, acutamente e intimamente percepito nel sé: 'Un modo forse, per rapprendere con la pittura, con i suoi eterocliti meccanismi, una provvisoria eternità. Se questo è morale, è anche l'unica condizione di vita ineludibile per me. L'indipendenza allora è solo condizione di fedeltà alla propria esistenza. Altre categorie di fedeltà non conosco'. Il tutto tradotto in una visione altissima, profondamente ed eticamente partecipata, nella quale la pazzia diviene in realtà l'unico limite estremo possibile della razionalità e il provvisorio la sola epifania plausibile dell'eterno".
Così scrive Francesaca Pola nel saggio introduttivo della monografia bilingue che verrà pubblicata in occasione della mostra e contenente la riproduzione delle opere esposte, una poesia di Carlo Invernizzi e un aggiornato apparato bio-bibliografico.


Rodolfo Aricò nasce nel 1930 a Milano dove frequenta il Liceo Artistico di Brera tra il 1946 e il 1950 e ha per professore di Storia dell'arte Guido Ballo. In questi anni alterna studi ed esperienze di pittura all'interesse per l'architettura.
I suoi inizi pittorici si situano nell'ambito della temperie milanese del cosiddetto 'realismo esistenziale', ma la sua opera presenta da subito una specifica rimeditazione della poetica informale in direzione costruttiva e dialogica, fortemente influenzata dalla filosofia di Husserl.
Nel 1959 presenta la sua prima mostra personale al Salone Annunciata di Milano.
Negli anni Sessanta, Aricò articola la sua visione in una riflessione sull'opera di alcuni maestri delle avanguardie storiche e nel 1964 viene invitato alla XXXII Biennale di Venezia dove presenta l'opera "Trittico dell'esistenza".
Nel 1965, animato dalla poetica "orfica" di Delaunay, concepisce un archetipo nel fenomeno di due dischi spostati, nei quali la circonferenza di uno passa nel centro dell'altro. Roberto Sanesi gli dedica il volume "Reperti: per uno studio sulla pittura di Rodolfo Aricò".
A partire dal 1966, Aricò avvia la sua riflessione sugli aspetti oggettuali del fare artistico e nel 1967, espone alla Galleria L'Attico di Roma presentato da Giulio Carlo Argan.
Nel 1968 è nuovamente invitato alla XXXIV Biennale di Venezia con una sala personale nella quale realizza, attraverso le sue opere, una vera e propria situazione ambientale.
Nel 1974 è invitato a Palazzo Grassi di Venezia per una mostra antologica.
Le opere degli anni settanta vedono concentrare la riflessione di Aricò sulla reinterpretazione in una nuova chiave della sua visione umanistica della storia dell'arte e degli archetipi dell'architettura, espressa in una sottile pittura a spruzzo: nascono le opere legate all'arco, alla prospettiva, a Paolo Uccello, al timpano. Il 1977 vede una sua nuova antologica al Padiglione d'Arte Contemporanea di Parco Massari a Ferrara.
Nel 1978 Aricò realizza una scenografia per il Teatro dell'Assurdo di Tardieu al Teatro Pier Lombardo di Milano, per la regia di Klaus Aulehla; l'anno seguente presenta alla Casa del Mantegna di Mantova una mostra antologica focalizzata proprio sulla sua indagine delle relazioni tra architettura, pittura e mito.
Gli anni ottanta vedono un approfondirsi della sua riflessione su di un nuovo rapporto con il passato, inteso nella sua componente mitica e atemporale, concomitante con l'avviarsi di una frantumazione delle regolarità geometriche che avevano caratterizzato i decenni precedenti, in favore di una sempre più articolata metamorfosi di sagomature e superfici ("Instabile confine, Naturans, ecc."). Nascono così le grandi pitture del mito tra cui "Clinamen/Prometeo", esposto alla XL Biennale internazionale d'arte di Venezia del 1982. Nel 1984 Aricò espone al Padiglione d'Arte Contemporanea in una mostra personale insieme a Gianni Colombo.
Durante gli anni novanta Aricò articola, in una serie di mostre personali a Milano, la propria nuova relazione con uno spazio sempre più fisicamente e corporalmente inteso come dramma di una materialità in implosione ed esplosione ininterrotta.
Nel 2003 viene invitato con Rudi Wach per una mostra al Kaiserliche Hofburg di Insbruck.
Nel 2005, a tre anni dalla sua scomparsa, l'Institut Mathildenhöhe di Darmastadt gli dedica una grande retrospettiva.